LA BANALITA’ DEL MALE
Tratto dall’opera di Hannah Arendt
riduzione e adattamento di Paola Bigatto e Anna Gualdo
aiuto regia Elisa Menchicchi
con Anna Gualdo
dal 25 gennaio al 4 febbraio
TEATRO BELLI- ROMA
Torna in scena al Teatro Belli dal 25 gennaio al 4 febbraio, dopo il successo
ottenuto durante la scorsa stagione, LA BANALITA’ DEL MALE, spettacolo tratto
dall’opera di Hannah Arendt, con Anna Gualdo.
Hannah Arendt (1906 - 1975), filosofa, allieva di Heidegger e Jaspers, emigrata nel
1933 dalla Germania alla Francia, e da qui in America nel 1940, a causa delle
persecuzioni razziali, dal 1941 ha insegnato nelle più prestigiose università americane,
pubblicando alcuni tra i più importanti testi del Novecento sul rapporto tra etica e
politica. Nel 1961 segue, come inviata del The New Yorker, il processo Eichmann a
Gerusalemme: il resoconto esce prima sulle colonne del giornale nel 1963, quindi,
sempre nello stesso anno, in volume. Esso susciterà una grande ondata di proteste e
una accesa polemica soprattutto da parte della comunità ebraica internazionale, a
causa della particolare lettura che la Arendt, ebrea e tedesca, dà al fenomeno
dell’Olocausto e dell’antisemitismo in Germania. Otto Adolf Eichmann (1906 - 1962) fu
colui che, nei quadri organizzativi della Germania hitleriana, ebbe il ruolo di realizzare
logisticamente la “soluzione finale”, cioè lo sterminio degli ebrei al fine di rendere i
territori tedeschi judenrein. Sfuggito al processo di Norimberga, rifugiato in Argentina,
venne catturato dal servizio segreto israeliano, processato a Gerusalemme e
condannato a morte. Hannah Arendt osserva la macchina della giustizia di Israele con
implacabile occhio critico. Non esita, ebrea, a indagare le responsabilità morali e
dirette del popolo ebraico nella tragedia dell’Olocausto, né ad attribuire a tutto il
popolo tedesco pesanti responsabilità durante il Nazismo e ipocriti sensi di colpa
durante la ricostruzione post- bellica. Scopre che è la menzogna eletta a sistema di
vita sociale e politica la principale artefice delle tragedie naziste, la menzogna come
strategia esistenziale attuata prima di tutto nei confronti di se stessi: la capacità di
negarsi delle verità conosciute è il meccanismo criminale che porta il male ad apparire
banale, inconsapevolmente agito da personaggi che, come Eichmann, si dichiarano
sinceramente stupefatti dell’attribuzione di questa responsabilità. Il male estremo,
l’abominio criminale contro l’uomo rappresentato dal Nazismo non resta
tranquillamente relegato nei responsabili noti dei massacri e dell’organizzazione, ma
appare come una realtà sempre presente, in agguato nella pigrizia mentale,
nell’inattività sociale e politica, nel delegare le scelte di vita ad altri da noi, nell’usare
la banalità e la mediocrità come alibi morali. Coloro che sono sfuggiti a questo
meccanismo dimostrano, con la loro vita, il loro esempio e spesso il loro sacrificio, che
quella capacità di giudizio che ci esime dal commettere il male, non deriva da una
particolare cultura, bensì dalla capacità di pensare.
E dove questa capacità è assente, là si trova la “banalità del male”.
La forza del testo risiede quindi non solo nei contenuti storici e filosofici a cui si fa
riferimento (la nascita del Nazismo, le modalità dell’Olocausto, il processo di
Norimberga), ma soprattutto nell’esempio morale offerto dalla Arendt osservatrice: un
modello di equilibrio, di implacabilità nell’essere dolorosamente oggettiva e nel
sottolineare duramente le verità taciute da entrambe le parti processuali. Né il suo
essere ebrea, né il suo essere tedesca, né il trovarsi di fronte a uno degli assassini di
sei milioni di persone, altera la sua ricerca della verità e il suo sforzo di essere
oggettiva. È per questo che oggi, quando il grande potere dell’informazione pretende
di rifare gli accadimenti, di determinarne la realtà, quando la menzogna intellettuale
sembra prevalere nella comunicazione umana e lo spirito critico dei più sembra
acquietarsi nella “confortante coerenza delle ideologie”, il passionale e lucido sguardo
della Arendt rappresenta una lezione di estrema attualità.
Lo spettacolo nasce come costola di un progetto più ampio, “Arendt al plurale”, voluto
e immaginato da Paola Bigatto, nel quale le attrici Anna Gualdo e Sandra Cavallini,
attraverso un personale percorso drammaturgico, hanno dato vita a differenti
riedizioni del testo.
La direzione seguita da Anna Gualdo, è centrata sulla personalità di Eichmann, un
omino piccolo piccolo preso a paradigma di un sistema, sulla relazione tra la sua
incapacità di pensare e la mancanza di percezione delle proprie responsabilità.
In particolare la Gualdo, seguendo la Arendt, rintraccia nello strumento linguistico la
possibilità di mentire a se stessi, manipolando il linguaggio, o difendendosi dallo
scomodo pensare attraverso frasi fatte e slogan.
Lo spettacolo, nato per i banchi di scuola, come una lezione frontale tra professoressa
e alunni, si sofferma sul personaggio Eichmann e la sua vita, perché attraverso i
particolari e i dettagli, meglio si colgono i parallelismi e le similitudini tra i regimi
totalitari e la situazione attuale, dove la deresponsabilizzazione dell’individuo, in nome
della patria e dell’ideale, è molto simile alla capacità straniante della rete e dei social
oggi. La povertà del linguaggio e l’uso di “parole alate” ricordano purtroppo l’abisso di
Twitter e di slogan politici e la Arendt si scaglia contro la velocità di smemorizzazione,
pericolosamente vicina al negazionismo, per la necessità di un racconto inteso come
memoria storica, perchè “ i vuoti di memoria non esistono: qualcuno resterà sempre
in vita per raccontare.”
orario spettacoli
giovedì e venerdì ore 21,00
sabato ore 19.00
domenica ore 17,30
orario botteghino
giovedì e venerdì ore 18,00/22,00
sabato ore 15,00/20,00
domenica ore 15,30/18,30
Prezzi: Interi € 20,00 – Ridotti € 15,00
TEATRO BELLI
piazza Santa Apollonia, 11a
tel. 065894875
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