NoveTeatro
nell’ambito
del
Festival di Teatro
Patologico
da giovedì 20 a sabato
22 febbraio ore 21.00
domenica 23 febbraio
ore 18.00
Teatro Patologico
Via Cassia,472-Roma
presenta
“Angelo della gravità
(un’eresia)”
di Massimo Sgorbani
con Leonardo Lidi
regia, scene e costumi Domenico Ammendola
assistenza alla regia Eva Martucci
luci e fonica
Lorenzo Savi
produzione NoveTeatro
Stati Uniti: un
detenuto nel braccio della morte in attesa dell’impiccagione.
Colpo di
scena: esecuzione sospesa per obesità. Il condannato, troppo grasso, avrebbe
spezzato la corda del boia. Paradossi tragici della pena di morte.
Da questo
fatto di cronaca Massimo Sgorbani ha
tratto un monologo dal punto di vista del detenuto, imprigionato, oltre che
nella sua cella, in una situazione surreale quanto verosimile.
Il testo, che
si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria
Riccione 2001 “Bignami-Quondamatteo”, viene ora portato in scena con la regia di Domenico Ammendola, fondatore di
NoveTeatro, e l’interpretazione di Leonardo
Lidi.
Ne
l’’Angelo della gravità’ la
personale ricerca registica di Domenico Ammendola si arricchisce attraverso il
sodalizio artistico con Massimo Sgorbani. La scena ricrea uno spazio asettico e
il regista inserisce un collage di emissioni sonore e luci, enfatizzando lo
scorrere del tempo e la potenza della parola, quasi a voler schiaffeggiare il pubblico. La
scenografia è l’appiglio per l’attore-personaggio per non lasciarsi trascinare
dalla corrente della morte: è una cella, ma potrebbe
essere un qualsiasi luogo davanti o almeno nelle
vicinanze di Dio.
Il fatto di cronaca originario è rimasto un
semplice spunto. "Angelo della gravità" è la storia di un obeso, un
uomo con evidenti problemi di disordine alimentare e di immaturità psicologica,
un animo infantile intrappolato in un corpo cresciuto a dismisura la cui sola
consolazione è il cibo. E proprio inseguendo il cibo l’uomo approda nel paese
da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le ore e i panini sono come
quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra straniera, consuma
l’efferato ma candido delitto per il quale viene condannato all’impiccagione. Il
monologo è il resoconto che l’uomo fa delle sue vicende mentre attende di
essere appeso alla corda del boia.
"Angelo della gravità", però, è
soprattutto la storia di un’eresia. Eresia paradossale, figlia di una cultura
essenzialmente laica e materialista, nella quale lo slancio religioso è sempre
mischiato a elementi profani. Eresia di un’epoca in cui il consumo stesso è
diventato la più diffusa delle religioni.
Da qualche anno
NoveTeatro porta avanti un percorso di ricerca sulla drammaturgia
contemporanea. “Angelo della gravità” è il primo testo scritto da un autore
italiano mentre i testi precedentemente affrontati erano di autori anglosassoni.
La scelta è ricaduta su questo testo per due motivi: la sua grande forza
drammaturgica che si sposa perfettamente con un’idea di teatro vicina alla
Compagnia e il grande impatto sociale di un testo che non volendo esserlo è,
suo malgrado, di forte denuncia sociale e riflessione collettiva. In questo lavoro in particolare NoveTeatro ha condotto una ricerca attoriale tra
attori e nuovi talenti usciti dalle accademie. Dalle note di regia: ‘Non è solo un attore che stiamo cercando, ma un corpo che lo contenga
e trattenga. Un Angelo tra quelli meno volatili’.
Si segnala che lo
spettacolo non è consigliato ai minori di 16 anni
Note dell’Autore Angelo
della gravità è un testo nato in seguito alla lettura di una notizia
riportata anni fa dai giornali: negli Stati Uniti, un detenuto nel braccio
della morte era in attesa che la sua condanna venisse eseguita tramite
impiccagione. L’esecuzione, però, era stata sospesa perché il condannato in
questione era grasso al punto che il suo peso avrebbe spezzato la corda del
boia.
Da
qui l’idea di mettere in forma di monologo un fatto che, accostando in modo
così bizzarro tragedia e paradosso comico, travalicava da solo la realtà e si
poneva nella dimensione del verosimile.
Il
fatto di cronaca originario è rimasto un semplice spunto. "Angelo della
gravità" non è la storia di
quell’obeso, ma di un obeso, un uomo con evidenti problemi di disordine
alimentare e di immaturità psicologica, un animo infantile intrappolato in un
corpo cresciuto a dismisura.
La
sua sola consolazione è il cibo. Il cibo, un tempo ricevuto dalla madre, è il
solo, più alto dono d’amore che lui conosca. E proprio inseguendo il cibo
l’uomo approda nel paese da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le
ore e i panini sono come quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra
straniera, consuma l’efferato ma candido delitto per il quale viene condannato
all’impiccagione.
Il
monologo è il resoconto che l’uomo fa delle sue vicende mentre attende di
essere appeso alla corda del boia.
"Angelo della
gravità", però, è soprattutto la storia di un’eresia. Eresia paradossale,
figlia di una cultura essenzialmente laica e materialista, nella quale lo
slancio religioso è sempre mischiato a elementi profani. Eresia di un’epoca in
cui il consumo stesso è diventato la più diffusa delle religioni.
Nel
corso del monologo, il condannato a morte costruisce la sua personale visione
del mondo, la sua cosmogonia, e lo fa utilizzando i soli elementi di cui
dispone: cresciuto nel culto delle merci e della televisione, disegna una
delirante concezione dell’ordine universale e morale nella quale la pornografia
coincide con l’agape e l’indigestione con l’eucaristia. Forte di questa fede,
l’obeso approda alla visione celeste degli "angeli della gravità" che
grazie alle loro ali vincono il peso della materia e si elevano verso Dio.
Nella certezza di entrare a far parte della schiera di questi angeli, il
condannato affronta con serenità la sua morte imminente e si consegna a una
paradossale ma autentica santità. (Massimo Sgorbani)
Il
testo ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione Teatro
ed.2001)
Così la Stampa
La regia attenta e
misurata di Domenico Ammendola sottolinea i passaggi di tempo e di spazio,
ricorrendo, grazie all’abilità di Lorenzo Savia, ad un suggestivo gioco di luci
e di suoni diffusi. (…) Una parola scenica che scorre come un fiume in piena.
Un testo surreale che racconta la storia
di un uomo con evidenti problemi di disordine mentale, ossessionato dal
cibo.(…) E l’angelo che era in scena, Leonardo Lidi, con gesti pacati e
misurati, attento a tutte le sfumature, ha saputo dare corpo e voce alle
visioni, ai pensieri scenici, dell’autore e del giovane regista. (Angela
Villa, Dramma.it)
La messa in scena
pone l’accento sulla fragilità di questo individuo, solo in un mondo che lo
sovrasta e di cui non capisce le dinamiche (…) Le musiche e le luci creano una
dimensione di straniamento, rimandando qua e là all’influenza dei media. La
scenografia crea una dimensione non realistica (…) La narrazione si svolge su
due piani, abitando due spazi scenici differenti, quello sussurrato al
microfono e quello dei ricordi, resi vivi dai movimenti e dalla mimica di Lidi.
(Serena
Lietti, Sipario)
Cibo a dismisura, pornografia, religione si muovono in
un iperspazio ideale in cui la gravità è assente (…). Il testo di Massimo
Sgorbani è un monologo dai toni forti, traduce in fondo l’ossessività
consumistica di un mondo distratto e distorto dal potere mediatico, in cui
tutto pare galleggiare allo stesso livello, ed è interpretato da uno
straordinario Leonardo Lidi che sa coniugare, nel racconto della vita del
protagonista, i momenti di tragicità e quelli di una candida quanto disarmante
follia. La scelta registica di addobbare il palco di palloni bianchi, cangianti
al pari del costume dell’attore, conferisce l’aspetto protettivo del grasso
come la levitazione degli angeli agognata dal condannato consentendo,
attraverso un adeguato disegno luci, di tradurre cromaticamente gli stati
d’animo del personaggio al centro. (Claudio Elli, PuntoeLinea Magazine)
(…) Quel che c’è è la spiazzante
contradditorietà fra eventi di una grevità tale da sconsigliarne la visione ai
minori di 16 anni e una leggerezza ed oniricità. Quasi, del registro narrativo.
Da riportare l’ossimoro ad un livello altro. Così qui a stridere – in senso
intenzionale e costruttivo – è l’efferato candore con cui vengono raccontati i
fatti. (…) La tragedia reale è il suo essere goffamente inadeguato ad un mondo
da cui, pur tutti i suoi ‘spessi strati di ciccia’ non riescono a proteggerlo,
quella sua scolla inconsapevolezza, quel suo pensiero bambino intrappolato in
un corpo morbido ma possente. (Francesca Romana Lino, PlateaLmente)
Confrontarsi con un
testo di questa portata è un’impresa eroica e il regista è riuscito
nell’intento, e così anche l’attore che ha tenuto testa al flusso di parole,
emozioni, immagini e odori di questa perla della drammaturgia contemporanea.
(Francesca Sangalli, GIOVIO15)
MASSIMO
SGORBANI, drammaturgo e
sceneggiatore, si è diplomato in drammaturgia alla Scuola Civica P.Grassi. In
teatro ha collaborato con Franco Branciaroli, Antonino Iuorio, Ivana Monti,
Sabrina Colle, Patrizia De Clara, Lucia Ragni, Ruggero Cara, Federica Fracassi.
Nel 2001 ha vinto il Premio Speciale della Giuria Riccione 2001
“Bignami-Quondamatteo”, con il testo Angelo
della gravità. Nel 2003 si è
classificato secondo al Premio Fersen con il testo Il tempo ad Hanoi. Sempre nel 2003 ha ottenuto la “segnalazione di
continuità” al Premio Riccione per il testo Le
cose sottili nell’aria.
Nell’agosto del 2008 ha ricevuto il premio Franco Enriquez per la drammaturgia.
Nel maggio 2008 il Teatro Franco Parenti ha organizzato il “Focus su un autore:
Massimo Sgorbani”, dieci giorni nel quale sono stati rappresentati sette suoi
spettacoli a cura di Andrée Ruth Shammah. Nel marzo 2013 il suo testo Blondi è andato in scena al Piccolo
Teatro Studio di Milano mentre nel settembre è andato in scena lo spettacolo Fuck me(n), scritto insieme a Giampaolo
Spinato e Roberto Traverso, e vincitore del premio Giovani Realtà del Teatro. I
testi di Massimo Sgorbani sono pubblicati da Ubulibri, con il titolo di Teatro di Massimo Sgorbani, da
Editoria&Spettacolo con il titolo Due
pezzi quasi comici, e da
Titivillus con il titolo Innamorate
dello spavento.
DOMENICO AMMENDOLA, frequenta il
D.A.M.S. di Bologna indirizzo lettere, filosofia e disciplina dello spettacolo.
E’ assistente alla regia di G. Cobelli per Un
patriota per me di J. Osborne prodotto da ERT e assistente alla regia di
Gigi Dall’Aglio per La bottega del caffè
di C. Goldoni prodotto da ERT e dal Teatro Stabile della Sardegna. Nel 1998
diventa direttore artistico del Centro internazionale ART, ed è assistente alla
regia di Cesare Lievi per The Rake’s
progress prodotto dal Teatro Comunale di Modena. Nel 2004 fonda il Centro
Teatrale MaMiMò, centro di formazione permanente per Reggio Emilia e provincia
in qualità di presidente e direttore artistico. Nel 2007 fonda e tutt’ora
dirige NoveTeatro. Nel 2008 cura la regia dello spettacolo Clizia prodotto dal Teatro Stabile di Sardegna. Nel 2009 cura la
regia dello spettacolo Bianca Morte,
spettacolo semifinalista al Premio Scenario–Ustica 2009. Nel 2011 dirige ed
interpreta Processo a Giulio Cesare
spettacolo con Paolo Bonacelli e Urbano Barberini.
LEONARDO LIDI, giovane attore
(1988), diplomato al Teatro Stabile di Torino, ha lavorato al cinema con
Francesco Paladino (‘Where the Rivers runs ‘Miglior
Thriller Psicologico” New York International Indipendent Film e Maurizio
Losi.( ‘In direzione Ostinata e contraria’ - Prix du meilleur scénario al
Festival “ Les Mureaux” – Parigi ).
A
teatro è stato diretto da registi quali Andrea De Rosa, Valter Malosti, Carmelo
Rifici, Paolo Rossi.
NoveTeatro, che ha sede a Novellara (Reggio Emilia),
è centro
teatrale fondato nel 2007 dal regista Domenico Ammendola che ne è anche il
direttore artistico. E’ ente di produzione di spettacoli di prosa con
professionisti diplomati alle principali accademie nazionali, coinvolge
personalità importanti del panorama teatrale italiano. All’attività di
produzione si affianca la scuola teatrale di NoveTeatro e un’intensa attività
di teatro civile. Tra le produzioni annovera Processo a Giulio Cesare con Paolo Bonacelli per la regia di
Domenico Ammendola.
Info e prenotazioni
06 334 34
087 – mob. 389 42 90 799 teatropatologico@gmail.com
Biglietto posto unico Euro 10,00
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