giovedì 3 agosto 2017

Le marocchinate:intervista a Ariele Vincenti

Quasi un anno fa vidi per la prima volta lo spettacolo "Le marocchinate" di Simone Cristicchi e Ariele Vincenti, e interpretato dallo stesso Vincenti. Rimasi molto colpita dallo spettacolo, tanto che quando lo scorso 14 luglio andò in scena al Marconi Teatro Festival, decisi di tornare a vederlo, e lo trovai ancora più bello, perchè da qualche tempo a questa parte, lo spettacolo è stato arricchito dalla presenza del violino dal vivo di Marcello Corvino. A fine spettacolo pensai, perchè non intervistare Ariele Vincenti? E così fu.
  1. Ciao Ariele, sei il protagonista e il coautore dello spettacolo “Le marocchinate”.  Uno spettacolo che tratta di  un argomento misconosciuto ai più: le violenze perpetrate a carico delle donne ciociare, e non solo, da parte dei goumiers, ovvero, le truppe coloniali francesi, nel momento in cui nel 1944 i si trovarono a sfondare la famosa linea Gustav. Come è nata l’idea di approfondire , questo argomento specifico, che sappiamo bene, non essere riportato nei libri di scuola?
Nasce da un’idea di Simone Cristicchi, che mi propose di scrivere una cosa insieme e di farne poi un monologo. Mi diede  delle cose scritte da lui sulle Marocchinate ottenute da una sua personale ricerca per un altro spettacolo, “Mio nonno è morto in guerra”. La cosa mi fece molto piacere e l’idea di collaborare con un grande artista e grande persona, come Simone, fu una grande spinta per iniziare la ricerca. Cominciammo a raccogliere materiale video, intervistando reduci di guerra in Ciociaria e reperimmo molti libri sull’argomento. Da tutto questo materiale raccolto in più di un anno nacque il testo. Proposi  la regia a Nicola Pistoia,con il quale ho già fatto altri lavori, che si dimostrò entusiasta del progetto e con lui cominciammo a fare un ulteriore lavoro sul testo e 40 giorni di prove.


  1. Lo spettacolo ha avuto un ottimo riscontro sia di pubblico che di critica, quindi ha  girato sia, in vari spazi romani come Il Teatro Lo spazio, Il barnum seminteatro, il 14 di questo mese sei stato al Marconi Teatro Festival, sia in in piccoli centri. Ogni replica e a se stante si sa, ma tu hai provato delle sensazioni diverse, nel portarlo in scena  a Roma e nel portarlo in uno dei luoghi in cui sono accaduti questi tragici eventi?
Fare questo spettacolo, ogni volta è un’emozione grande, ma soprattutto una grande responsabilità. Sicuramente portarlo nei posti dove sono successi questi tragici eventi, ha un’emozione diversa.  Farlo a Castro de Volsci, sotto il monumento dedicato a tutte le donne che subirono violenza, con 300 persone in piedi ad applaudire è una di quelle cose che ti fa sentire un’artista appagato. Comunque la bellezza  di questo spettacolo è che si può fare nei teatri, piuttosto che nelle piazze dei paesi,  nei vicoli o  davanti ad una stalla di campagna, la sua forza emotiva e coinvolgente rimane intatta.



  1. L’urgenza di raccontare e la funzione specifica del teatro , in special modo quello civile, hanno una stretta correlazione. Reputi il teatro un buon mezzo per la divulgazione di storie poco conosciute?
Sicuramente si, l’importante è fare un lavoro di trasposizione serio, non accontentarsi di raccontare una storia in modo didascalico, ma andare oltre,approfondendolo con i canoni teatrali il racconto, mettendoci del “nostro”,solo così diventa un mezzo per emozionare, interessare e far  condividere una storia.  Oltre al teatro civile, anche altri generi di teatro per raccontare una qualsiasi storia dovrebbero, rispettare certe regole, per rispetto del proprio mestiere e degli spettatori. Purtroppo molto spesso non è così.


  1. Sono previste altre date per “Le marocchinate”?
Si. Il 22 Luglio, saremo a Caprarola, in un Festival, il 6 Agosto a San Vincenzo Superiore (Aq) davanti un eremo in montagna, molto bello, il 25 al Teatro Romano di Minturno,il 2 Settembre a Castelforte (Lt) e sempre a Settembre a Prato. Sicuramente lo riproporremo a Roma e altre piazze per la prossima stagione.



  1. Cosa vorresti che di questo spettacolo rimanesse al pubblico?
Il piacere di ascoltare una storia. La voglia di approfondirla e farne tesoro per la propria vita.E continuare a  stimolare l’interesse del pubblico, soprattutto dei giovani, verso questa forma d’arte, che spesso viene considerata noiosa e borghese.

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