Teatro Argot
dal 22 ottobre al 27 ottobre
2013
Tamara Bartolini/Michele Baronio
CARMEN che non vede l’ora
drammaturgia
Tamara Bartolini
sonorizzazioni, canzoni, musiche
originali
Michele Baronio
suono
Michele Boreggi
regia
Tamara Bartolini
Michele Baronio
co-produzione | Residenza
Carozzerie | n.o.t
co-produzione
Sycamore T Company
produzione
Bartolini/Baronio
produzione della prima fase del progetto in
forma di Recital
Associazione Cantalavita di Lucilla Galeazzi
che ha gentilmente concesso alcune sue canzoni originali
Sarà in scena al Teatro
Argot dal 22 ottobre al 27 ottobre 2013, lo spettacolo con Michele Baronio e Tamara Bartolini in CARMEN che non vede l’ora, drammaturgia di Tamara Bartolini; regia di Tamara
Bartolini e Michele Baronio.
Facciamo che c’era una volta…un piccolo villaggio della ex Jugoslavia e che
da lì inizia il viaggio, si passa per l’Africa, da cui partivano
durante la guerra le navi della croce rossa, e poi si arriva a Napoli
nei favolosi anni ’60, proseguendo dentro le leggi e i tabù della
Basilicata, per scappare in una Roma infuocata dalle contestazioni degli
anni ‘70, tra nonni slavi e ladri, mariti violenti, amanti, riunioni
politiche, rivolte femministe e il sogno di una stanza tutta per sé
e di un lavoro, e sbarcare infine in un piccolo paesino della provincia
di Roma davanti al mare…Carmen è così, è una
profonda e vertiginosa immersione dentro la storia del nostro paese
ma è anche un viaggio alla ricerca di un corpo e del suo posto nel
mondo. Carmen è il viaggio di questa donna qualunque che cerca la sua libertà ed è anche
il viaggio artistico attraverso un caleidoscopio di formati e linguaggi,
per ricostruire una vita che è anche tante vite.
"Carmen non vede l'ora" è uno spettacolo bellissimo, coinvolgente, unificante nella sua varietà di temi. Si parte da una storia vera quella di Carmen M. che l'autrice del testo ha sapientemente ricostruito attraverso le interviste alla protagonista, le foto dei suoi famigliari, e con l'inserto azzeccatissimo di canzoni, che segnano gli snodi della vicenda. La Bartolini è bravissima nell'interpretazione capace di passare, da un età giovanile a una più matura, da momenti di estrema euforia, a momenti di riflessione, da quelli di speranza e meraviglia, a quelli di delusione, tutti ingredienti miscelati per arrivare all'attuale consapevolezza. Tutto ciò fa passare allo spettatore una serata allo stesso tempo gradevole e riflessiva.
Miriam Comito
Note di
regia di Tamara Bartolini
Carmen
che non vede l’ora, prima ancora di tradursi sulla scena, è stato
l’incontro con una biografia, con la storia di una donna, Carmen M.,
incontrata durante uno dei nostri laboratori teatrali.
La storia narrata da Carmen
M. durante le lunghe interviste che le abbiamo fatto, ha preso forma
attraverso le parole, le immagini, i ricordi e ad
un certo punto, la sua storia, ha cominciato a parlare anche di noi,
del nostro paese, della società in cui viviamo, delle nostre paure,
delusioni, della violenza e delle speranze. Insieme a lei abbiamo allenato
una memoria personale - che testardamente pensiamo sia anche collettiva
- fino a far diventare, quel racconto, altro da sé.
Abbiamo sperimentato che cadere in una biografia e trasformarla in atto teatrale
ha lo stesso valore del pane che arriva sulla nostra tavola. E’ un
dono. “Il pane è dono di umanità a se stessa,
fatto di cielo, terra, acqua e fuoco.” Questo dono che interrompe
solitudini e silenzi, a volte crea quel miracolo in cui il singolo e
la comunità tornano a guardarsi, a parlarsi, come in un teatro appunto,
come se le parole, gli odori, le immagini, i corpi, fossero un pasto
condiviso. Un riappropriarsi della storia, quella privata e quella pubblica,
anche per cambiarla, per trasformarla – come scriveva B.Brecht –
per trasformare quella storia che è scritta sui corpi che la
fanno quotidianamente, vivendo intanto la loro privata, finita, imperfetta
sconosciuta apparentemente inutile, piccola storia. Carmen che non vede l’ora
nasce da tutto questo e proprio per questo non è altro che la storia
di una persona qualunque che proprio
perché narrata si fa universale.
Facciamo
che c’era una volta…un piccolo villaggio della ex Jugoslavia e che
da lì inizia questo nostro viaggio, si passa per l’Africa, da cui
partivano durante la guerra le navi della croce rossa, e poi si arriva
a Napoli nei favolosi anni ’60, proseguendo sempre più a sud, dentro
le leggi e i tabù della Basilicata, per scappare in una Roma infuocata
dalle contestazioni degli anni ‘70, tra nonni slavi e ladri, mariti
violenti, amanti, riunioni politiche, rivolte femministe e il sogno
di una stanza tutta per sé
e di un lavoro, di una scuola nuova, quella scuola pensata come casa,
luogo da proteggere perché deputato alla crescita e alla trasformazione
della società, e sbarcare infine in un piccolo paesino della provincia
di Roma davanti al mare…
Carmen è così, è una profonda e vertiginosa immersione dentro la storia
del nostro paese ma è anche un viaggio alla ricerca di un corpo e del
suo posto nel mondo, uno scontro con altri corpi, una lotta contro la
violenza e la sopraffazione, alla ricerca della libertà.
Carmen è il viaggio di questa donna qualunque che cerca la sua libertà.
Una libertà cercata
e ritrovata solo nel momento in cui la parola che non si può dire
– stupro – viene finalmente nominata pubblicamente, viene detta. Stupro,
inteso non solo come violenza fisica, ma anche, e soprattutto, morale
e culturale, vero e proprio programma politico, scheletro del capitalismo, rappresentazione cruda e diretta dell’esercizio
del potere. Atto sadico contro chi afferma la propria libertà
di scelta, sfregio al piacere condiviso dell'amore, declassato a pura
evacuazione/auto- soddisfazione, riduzione della donna a merce, preda,
oggetto, essere che va punito perché fragile, inferiore, altro, diverso.
Atto di vendetta politica contro chi si ribella al potere che la vuole
sempre sottomessa o complice, e poi violenza, quotidiana, familiare,
perché la donna accetti la sua subordinazione, storico e naturale destino stabilito.
Stupro. Metafora perfetta della nostra società.
Ma Carmen è anche il viaggio di un uomo che cerca il suo corpo e la sua libertà. È la sua
presa di coscienza, è la domanda da ritrovare per ritrovarsi, l’urgenza
da lanciare, come una rivolta, alla piazza, al pubblico: cosa significa, in questa società,
essere un uomo vero?. Significa forse la rinuncia a qualcosa
di molto, troppo importante, la rinuncia alla propria identità, alla
propria natura, che magari è diversa dall’immaginario che questa
società ci propone, ci impone.
La verbalizzazione che si fa corpo e scrittura, un grido
che è un canto, un atto di rappresentazione, restituisce ai due universi
– maschile e femminile – la consapevolezza che lo stupro ci riguarda
tutti, perchè è già dentro la città,
tutti abbiamo a che fare con lui sin dalla nostra nascita, per questo Carmen è un viaggio che si fa da soli
ma anche insieme, un viaggio che va indietro e che va avanti, un viaggio
umano che non vede l’ora di
rinominare il non detto, per portare parola, per scoprire che cos’è
corpo e che cos’è bellezza, dentro e oltre i generi.
Abbiamo lavorato a partire
dalle numerose interviste fatte a Carmen M., le abbiamo ascoltate guardando
fotografie di genitori, nonni, bisnonni, abbiamo utilizzato questi materiali
come una mappa. La biografia è andata mutando, come materiale vivo nelle
mani di uno scultore, lentamente si è tolta – perchè “la scultura si fa a furia di
torre” scriveva Michelangelo – e ha lasciato spazio alla
sua capacità di deformarsi e trasformarsi, di tradirsi e reinventarsi
attraverso l’alchimia dei segni teatrali. Come in un ritratto, abbiamo
cercato l’intimità fra chi guarda e chi è guardato, per diventare
non solo una testimonianza ma anche una proposta. Così è nata la parola
di questo testo, una parola che ha dialogato sin dall’inizio con quella
drammaturgia musicale di canti e suoni che ha attinto all’interno
delle diverse epoche storiche vissute da Carmen, epoche spesso scandite
proprio dalla produzione musicale. Le canzoni, sono parti, snodi del
racconto in relazione con tutti gli altri elementi del testo e
della scena.
La ricerca di un dialogo tra
il teatro e la musica nasce dal desiderio di continuare a creare sinergie
fra i linguaggi e gli artisti, segno forte e riconoscibile in tutte
le nostre produzioni in cui, più volte, abbiamo sperimentato collaborazioni
proprio guardando al teatro come spazio alchemico, luogo privilegiato
dell’incontro.
Dentro Carmen si continua questa ricerca attraverso il recupero
di tradizioni musicali popolari che dialogano con il lavoro musicale
contemporaneo, che nasce anche dal nostro lavoro di attori e autori.
Dentro Carmen che non vede l’ora c’è
la voce e il corpo di una donna, che usa la parola e il racconto per
esprimersi e c’è la voce e il corpo di un uomo che è tanti uomini,
tante storie e che risponde parlando, cantando e suonando, a quel facciamo che, quel gioco del teatro, che
la donna mette in moto, per ricucire, insieme al pubblico, ciò che
la violenza ha fatto a pezzi.
La voce di Carmen dialoga
con quella voce maschile che, passando dalla musica al testo come in un gioco
delle parti, fa lo stesso viaggio di Carmen esplorando il mondo maschile
incontrato da lei, durante i suoi 60 anni.
Carmen con la sua forza e ironia attraversa la storia del nostro paese,
e grazie al suo percorso di autonomia, diventa una figura mitologica,
una Aracne contemporanea che tesse il racconto della violenza, dello
stupro e definisce cos’è sorellanza, cos’è società, attingendo
all’archetipo del teatro inteso come luogo aperto, piazza, spazio
catartico dell’incontro e della trasformazione delle coscienze. Carmen diventa eroina, emblema dei conflitti,
ma anche della capacità di trasformazione e lo fa a partire da un percorso
di genere legato alla storia di liberazione dei corpi femminili, senza
dimenticarsi di dialogare con il maschile, con quel percorso di liberazione
che appartiene anche gli uomini che non vedono l’ora
di inventarsi un altro mondo.
Queste due voci, dialogano con il pubblico e filano,
come fossero, entrambi, Aracne. Sono Arance. Aracne che fila e srotola
la storia di tutti noi per creare un canto comune – se è ancora possibile
trovarne uno – tornando indietro, tornando alle origini, all’infanzia
del mondo da cui tutti veniamo.
Carmen che non vede l’ora parla e canta attraverso i ricordi e le voci delle persone incontrate,
restituendo, al suo corpo e alla sua personalità, la storia, le lotte,
le conquiste, la forza e la sua indissolubile allegria.
“Ognuno è un cantastorie.
Tante facce nella memoria. Tanto di tutto, tanto di niente…le parole
di tanta gente. Tanto buio, tanto colore. Tanta noia, tanto amore. Tante
sciocchezze, tante passioni. Tanto silenzio, tante canzoni…”
Teatro Argot
Via Natale del Grande, 27, 00153 Roma
06 589 8111
Orari spettacolo: tutte le sere alle 21 e domenica alle 17.30
Prezzi 12 intero, ridotto normale 10 euro.
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