di Vittorio Alfieri
Regia Ilario Grieco
con Paola Cerimele, Raffaello Lombardi, Diego Florio, Giorgio Careccia
Note di regia
Nel vortice della orrenda spirale di sangue che attanaglia e contrappone 
le antiche famiglie di Atrèo e Tièste, ci troviamo ad Argo, nella 
règgia del sepolto re Agamennone, a dieci anni esatti dal suo brutale 
assassinio avvenuto per mano della moglie Clitennestra. La vicenda ed 
i personaggi sono, quelli del mito greco e l'archètipo drammaturgico 
ne è ovviamente “Coefore” di Eschilo, cioè quella parte della 
storia che vede il figlio di Agamennone e Clitennestra, Oreste, tornare 
dalla Focida insieme al suo fedele cugino Pilade con lo scopo di vendicare 
il padre defunto, uccidendo Egisto, usurpatore del trono regale, e l'adultera 
sua madre. La più importante novità che Alfieri propone rispetto al 
modello antico è questa: Oreste torna con la sola brama di uccidere 
Egisto. Questa novità coincide con la straordinaria modernità del 
testo alfieriano rappresentata dal fatto che Oreste ucciderà comunque 
Clitennestra, avverando dunque i dettami dell'oracolo, ma come in un 
raptus, nell'incoscienza cioè di un agire smisurato che affonda le 
sue radici nell'animo buio e fondo dell'uomo, una vera e propria patologia 
o corto circuito della personalità. Non c'è il calvario nella coscienza 
dell'eroe greco imposto dalla dea necessità, non c'è il lucido cammino 
nell'esperienza della vita che porta alla catarsi. Alfieri realizza 
uno scientifico prosciugamento dei meccanismi della tragedia antica: 
il rito collettivo e il riscatto sociale lasciano il posto ad una vicenda 
privata di uomini dall'alto sentire, la cui risoluzione dei loro conflitti 
tragici non può che essere la morte o come in questo caso, la follia, 
che è il destino appunto di questo Oreste. Esclusi il coro e i personaggi 
secondari, l'azione viene affidata ai soli personaggi principali, che 
svuotati del loro arcaico eroismo, diventano grandiose figure di esistenze 
domestiche, che vivono il loro dramma all'interno delle mura di una 
casa. L'impalcatura mitica cade e Clitennestra diventa madre, Oreste 
ed Elettra sono semplicemente figli, Egisto il patrigno: siamo di fronte 
a un prototipo di teatro borghese, in cui è la famiglia il centro delle 
tensioni tragiche, con tutto il carico di dolore che ne consegue. 
La nostra Compagnia ha cercato di cogliere l'invito e insieme la sfida 
lanciata da questo rivoluzionario conte settecentesco più di duecento 
anni fa: e se la follia di Oreste, anziché un grido di dolore incessante, 
dopo il culmine della sofferenza, fosse una lucida repressione o anestetizzazione 
delle sofferenze e delle nefandezze vissute? Quale stato, o nevrosi, 
infondo, è più spietata e attuale di questa?

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