L’OPERA DA TRE SOLDI
Di Bertold Brecht, REGIA Massimiliano Caprara
In scena dal 15 Gennaio al 1 Febbraio 2015
Al SIDECAR – sale multimediali d’arti performative-Roma
NOTE DI REGIA
Brecht è il meno assimilabile degli autori occidentali degli ultimi cento anni. il suo carattere anti borghese, anti militaresco il suo fraternizzare continuo con qualunque causa si ponesse contro l’idea di potere, ne fanno un personaggio evitato pur se teatralmente inevitabile ( ed anche non banalizabile, direi). Meglio quindi evitarlo: da qui le poche messe in scena , (spesso comunque riletture) di testi come, appunto, l’Opera da tre soldi , rifacimento di un’opera di due secoli esatti anteriore e già a suo tempo decisamente polemica, the Beggar’s Opera di John Gay, che nelle mani di Brecht diventa un manifesto anti sistema ante litteram, in cui si afferma che il potere in quanto espressione del governo borghese e capitalista è sempre una espressione criminale e ha bisogno di strutturarsi attorno all’illegalità se non direttamente alla malavita. Con questo assunto e battute come “ cos’è la rapina di una banca in confronto alla sua fondazione...?!” è ben superfluo sottolineare l’inscalfibile attualità di questo testo e l’ intatta prorompenza del suo autore. Per questo esattamente non fu omologato come altri autori socialisti quali Bernard Show , che divenne un classico già in vita, oppure , tutto sommato, lo stesso Pinter, che pure rifiutò un Nobel, forse perché filtrato dai movimenti degli anni Sessanta e Settanta che ne istituzionalizzarono determinati contenuti. Con Brecht questo non accadde, e metterlo in scena è ancora chiaccherare con un collega attorno ad un bicchiere di vino o di birra parlando dei fatti che scorrono nelle cronache politiche, tra una battuta ed un’aria musicale. La musica, dunque. Il motivo per cui Brecht scelse il cabaret fu proprio la gioia straniante che dà la musica ai fatti umani e il divertimento grottesco che provoca se cantata dalle sue maschere sociali ( tali sono quelle di Brecht in riferimento ai misteri popolari che occupavano le piazze di Mosca e Stalingrado già dagli anni 20), e sopratutto se composta da uno dei maggiori compositori del Novecento, Kurt Weill, annoverando tra gli spartiti di questo lavoro arie tra le più universalmente conosciute e reinterpretate. Un divertimento, dicevamo, che parla alla ragione non mira al coinvolgimento emotivo perché il pubblico sia testimone,( in quanto oggi è pubblico ma domani sarà elettore), e sappia trovare nel teatro , una palestra ove esercitare il giudizio e il senso critico ...ma solo a condizione di ritrovare il divertimento, appunto, quello spontaneo genuino e popolare dell’arte scenica. A questi essenziali riferimenti ho improntato la regia dell’opera da tre soldi, non come uno dei suoi posteri ma essendo egli un mio contemporaneo, senza quindi imbastire nessuna operazione, né sovrapporre al suo punto di vista il mio ma anzi lasciandomi portare ove lui, con molta chiarezza indicava. Il risultato è la freschezza un pò goliardica un pò crudele di un’opera assolutamente necessaria , immediata, e funzionale al divertimento netto, diretto cioè a quel senso popolare del teatro che sa di vero ed utile. E in tutto ciò non può esserci sfuggito ad entrambi la scritta che campeggiava nel teatro dei comici dell’arte italiani a Parigi “Ridendo castigat mores”
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