Ho avuto la possibilità di incontrare l'attrice Benedetta Cesqui, nella casa romana in cui vive, dall'incontro è nata questa intervista.
D. Ciao Benedetta! Parliamo della tua formazione come attrice.
R. La mia formazione risale agli anni 90', ho iniziato con delle scuole di improvvisazione a Milano, io sono milanese di origine, sono nata là nel 1972, durante le scuole superiori mi sono iscritta ad un corso privato di improvvisazione teatrale.
D. Perchè hai scelto un corso di improvvisazione?
R. Ho scelto un corso di improvvisazione, perché conoscendo in famiglia degli attori, italiani già allora noti e di grande spessore, mi avevano indirizzato su delle scuole sul lavoro dell'improvvisazione, sul metodo stanislavskiano, chiamiamolo così perché proviene da lì. Io allora avevo 16 anni ed ero molto più timida e riservata con l'utilizzo della parola, che per me era qualcosa di sconosciuto nel senso che parlavo molto poco, e confrontandomi con questi due grandi attori italiani: Franca Nuti e Giancarlo Dettori mi dissero ma perchè non provi proprio per terapia a fare un corso di improvvisazione. Questa cosa mi ha liberato di una timidezza che io avevo dentro di me in modo molto prorompente, io parlavo pochissimo mi esprimevo con il corpo e con lo sguardo, ho iniziato a fare dei corsi di improvvisazione con un insegnante argentino che si chiama Raul Manso e con lui ho fatto 4 anni di scuola e poi mi sono avvicinata ad un maestro americano che adesso non c'è più che era Richard Gordon che invece era dell'Actor studio dove ebbi un'esperienza sia positiva che negativa nel senso: da lui fui "violentata" da un certo punto di vista, fu un approccio completamente diverso da quello precedente, però mi ha dato quella voglia di proseguire su questa strada. In seguito ho scelto di fare una scuola professionale di teatro e in lista c'erano lo stabile di Genova, quello di Torino, Il Piccolo di Milano e i Filodrammatici di Milano. Il primo provino fu a Torino, allora il direttore era Luca Ronconi, andai al provino, e fui presa immediatamente, con la riserva che dovevo essere cosciente del mio difetto...la erre moscia, che non ho più. ho fatto 3 anni di foniatria obbligata da Ronconi a farla, e lì iniziò tutta la mia passione per questo lavoro, che all'inizio era esclusivamente passione, non mi rendevo conto che poteva diventare il mio mestiere, per me fu anche abbastanza un trauma a 21 anni uscire di casa e andare a vivere in un'altra città, e in un ambiente che io non conoscevo, fui presa sotto l'ala protettiva di Ronconi, infatti, durante il primo anno lui mi chiese subito di partecipare a questo grandissimo spettacolo che era "I giganti della montagna" fatto a Salisburgo e io a 21 anni feci il mio debutto come Nilse-la dama rossa in "I giganti della montagna" con regia di Luca Ronconi tenuto dentro una vecchia salina. Spettacolo straordinario con star internazionali, svolto in lingua tedesca, io interpretavo un personaggio muto, per me fu una grandissima emozione. Là è nato il mio rapporto con Ronconi che è durato 5 anni, ho fatto per due stagioni I giganti e poi "il pasticciaccio brutto de' via Merulana" uno spettacolo molto faticoso ma molto energico, durava 5 ore e mezzo di quella fatica bella che non senti, perchè non ti fermavi un secondo. In contemporanea provavo "Medea" in cui facevo una parte del coro sempre per la regia di Ronconi, con questo spettacolo abbiamo fatto una tournèe di 2 anni. La mia esperienza come attrice è nata molto come allieva del Teatro stabile di Torino. Luca Ronconi a sempre sostenuto che io facessi questo lavoro un po' per hobby, non tanto per vera passione o per vero mestiere. Nel corso del tempo, invece, mi rendo conto e capisco che è l'unica cosa che io riesco a fare e dove riesco a stare. Finito il sodalizio con Ronconi, ho intrapreso un'avventura con il Teatro Del Carretto di Lucca e ho girato per un anno e mezzo in tournèe estera con Maria Grazia Cicolani con Biancaneve per i bambini con cui ho girato Francia e Spagna. E il "Leader" un vecchio storicospettacolo che debuttò negli anni 60' al Festival di Spoleto e fu poi ripreso alla fine degli anni 90' dove ho fatto un'esperienza molto interessante perchè era un lavoro sul corpo, meccanico, dove l'attore oltre a recitare doveva essere una marionetta. Ho laavorato con Walter Malosti in "Hamlet X" che era una revisione dell'Amleto fatto da 10 donne dove all'inizio facevo una prostituta e poi Laerte.Con Paolo Castagna (un allievo di Ronconi) ho fatto sia delle cose prettamente teatrali, come il Festival per il Teatro della Memoria qui a Roma sia installazioni. Nel 2000 sono venuta fissa a Roma, ho incontrato una vecchia conoscenza che è Lucia Calamaro, che è un'autrice con cui avevo già lavorato precedentemente in "La guerra" una storia di matti fatta qui a Roma al Villaggio globale, lei mi ricontattò per fare un lungo grande progetto che poi feci "Tumore-Uno spettacolo desolato" che fu una cosa straordinaria : lo abbiamo provato 9 mesi, lo abbiamo costruito, ed era il confronto tra la medicina e una povera madre a cui viene a mancare la figlia di tumore, è una storia vera: parla di Virginie che era la più cara amica di Lucia che è morta di tumore e il confronto di questa madre desolata, nessuno le riporta la figlia e allora lei decide di trasformarsi e diventare la figlia, questa trasformazione della madre è fatta di piccole sfumature di silenzi e pause, poi diventa sfrontata quando diventa figlia, fa resuscitare la figura di questa figlia, molto invadente, più forte e meno fragile di quanto sia la madre. Debuttammo al Rialto S. Ambrogio per 4 repliche , venne il mitico Nico Garrone che purtroppo non c'è più, il qualae fece una recensione da là siamo partiti a fare dei festival estivi, e poi tornammo a Roma al Teatro del Colosseo dove ci venne a sentire Cordelli e fece una bellissima recensione sul Corriere della Sera, in prima pagina. E' uno spettacolo a cui io tengo tantissimo, perchè fu creato da me Lucia e la mia compagna artistica di allora Monica Mariotti che faceva la dottoressa. Se avessi la possibilità di rifarlo lo rifarei subito, è uno spettacolo che mi è rimasto dentro. In quel periodo a me era mancato, improvvisamente, il mio migliore amico Guido, ed io ho portato questa cosa dentro di me nello spettacolo. Da lì abbiamo fatto un secondo progetto che si chiama "Magik- autobiografia della vergogna" una storia autobiografica della regista e abbiamo debuttato all'India 2 o 3 anni fa. C'era in fase preparatoria un terzo progetto che si chiamava "L'origine del mondo" con cui io e con Lucia avevo iniziato a provare non più con Monica Mariotti ma con Daria De Florian che è un'attrice molto brava e proviene dalla Compagnia degli Artefatti, ma c'è stato uno strappo con Lucia Calamaro, io ho sedimentato questa rottura, e ho iniziato a pensare di fare una cosa mia.
D. La settimana scorsa eri al Teatro dell'Orologio con "Sopravvivere perché no?" Che come tu sai mi è piaciuto tantissimo, ha un titolo particolare, molte persone dicono: " io non sto vivendo sto sopravvivendo, è un periodo difficile per tutti quello che stiamo vivendo, ma il tuo spettacolo è composto da una serie di monologhi che fanno vedere le varie sfaccettature di come poter sopravvivere, quindi dalla prima parte del titolo sembrerebbe una tragedia ma invece il perché no? ...finale fa capire che c'è uan vena positiva. Come ti è venuta l'idea di questo spettacolo?
R. L'idea non è venuta solo a me, è venuta a me insieme al pilastro che ho al mio fianco che è Mila Monaco con la quale abbiamo riflettuto anche sul dare un titolo a questo progetto che a me è venuto in mente di fare, e che è un progetto in espansione, nato in un luogo che non è un teatro, in un luogo che avevamo insieme io e Mila e ad altre persone, che adesso non c'è più, si chiamava "Lost in loft" che aveva un po' un senso di ultima spiaggia di ultimo appiglio, zattera a cui ci si può aggrappare e dove può succedere di tutto. Così sono nati questa sequenza di monologhi, dove io comunque ho dato un'impronta iniziale di speranza, positiva per me sopravvivere vuol dire vivere, non c'è molta differenza. Tutta la ricerca che ho fatto sui testi, alcuni erano drammatiche, il prologo è scritto da mia madre che è Barbara Malipiero buttato di getto ed è un po'un decalogo che racchiude tutto ed è scritto in rima : è una poesia. Feci le prime tre prove aperte al Loft dove già c'era il prologo scritto da mia madre, la versione dello spettacolo del Loft era più dinamica rispetto a quella che ho portato poi in teatro, il luogo dava la possibilità di essere più dinamici perché era organizzato su diversi livelli. All'interno c'era anche un pezzo di Lucia Calamaro di "Tumore" poi c'era una lettera privata, un pezzo tratto da " Condannati a morte della resistenza" Al loft iniziavo con un lungo prologo con una voce fuori campo e al buio, poi scendevo le scale e recitavo un pezzo di Eduardo De Filippo sul teatro che al Teatro dell'Orologio ho messo insieme al monologo in cui parlo della pensione, della perdita del lavoro e là ho attaccato il pezzo del talento.
Il mio progetto adesso è di parlando con Leonardo Ferrari Carissimi il regista ci siamo trovato, lui mi ha spiegato le sue considerazioni e ci siamo ritrovati nell'idea di portarlo avanti di ampliarlo, ricostruirlo, e creare un percorso drammatirgico e quindi anche una regia vera e propria.
D. Benedetta, hai un sogno nel cassetto?
R. Il mio sogno nel cassetto oramai è in voga, leggo che è il sogno di parecchi: fare "Orlando" di Virginia Woolf, interpretare una parte maschile in scena portare in scena una mia visione dell' "Orlando" parlando esclusivamente di me, perchè io ho vissuto quel percorso là, l'androginia io c'è l'ho sempre avuta, e quella presa di coscienza dell'essere nata femmina io l'ho avuta tardi. Associato a una mia rivisitazione dell'"Orlando" una scena del film " Io ballo da sola" che io ho amato molto, io trovo che lui sia un genio per come gira il mondo femminile, Liv Tyler nella scena finale ha la consapevolezza di avere il suo orgasmo, quindi di essere donna e questa consapevolezza io la svrappongo al mio percorso personale, perchè c'è stato un momento in cui io ho capito, di essere nata femmina e non maschio e quindi togliermi tutte quelle maschere che mi ero messa fino a quel momento.
D. Cosa pensi debba essere un attore?
R. Il mestiere dell'attore è un mestiere innanzitutto, anche se purtroppo ultimamente in Italia non è considerato tale. E' molto difficile trovare in questo mestiere l'umiltà , l'essere umili in questo lavoro è assolutamente fondamentale. La cosa straordinaria che fa di questo lavoro un lavoro è che qui sei sul palcoscenico, porti gran parte di te stesso, e subito dopo che finisce lo spettacolo, l'attore deve scomparire per far parte alla persona, non bisogna rimanere nel ruolo. Non bisogna porgersi d'attori nella vita, il teatro è un lavoro fatto di concentrazione disciplina, io ho come modello il teatro russo, che rappresenta proprio il concetto di questo lavoro, i russi lavorano su se stessi giornalmente ma quando escono dalla scena sono esseri umani, non fanno gli attori nella vita
Miriam Comito
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