«Se venti mesi di prigionia vi sembrano pochi»
Emanuele Salce, figlio del regista Luciano, ristabilisce una verità storica e privata rivendicando la storia del padre falsamente considerato tra i componenti dell'R.S.I.
Di figlio in padre. Di una battaglia dichiarata in nome della Verità, quella maiuscola, scritta dalla Storia. E proprio nel nome della storia paterna, un certo giorno, Emanuele Salce ha detto “Basta!”. Basta con le millanterie di quegli storici che non si erano disturbati di controllare neanche mezza fonte di una notizia nulla; basta con le spregiudicate falsità di pseudo-militanti da tastiera che da anni giocavano a collezionare figurine celebri di saloisti e di brigatisti neri. Basta con le bugie! Altro che Rsi! Luciano Salce, classe 1922, regista, autore, protagonista di una delle epoche più sfolgoranti dello spettacolo italiano, era dapprima stato internato in un campo di lavoro in Germania e poi, quale punizione per una tentata fuga, concentrato per quaranta giorni a Dachau in prigionia assieme a detenuti comuni russi. Simile, la sua sorte, a quelle numerose e tragiche che sarebbero occorse a migliaia di soldati che avrebbero pagato con la morte, o con atrocità quasi peggiori, il caos successivo all'8 settembre.
Quel dolore paterno Emanuele Salce ci ha tenuto a riscattarlo. Come fosse stato il proprio. “Non ne faccio una questione politica o ideologica. È noto che il XX secolo abbia conosciuto efferatezze sotto ogni simbolo e sotto molte bandiere. È solo per ristabilire una verità storica e privata”. E per farlo si è ribellato dinanzi alla menzogna nata senza una ragione, senza un appiglio, senza una minima traccia, eppure propagata ad arte da novellieri e da blogger senz'arte né parte, probabilmente rassicurati, tanto dalla sostanziale impunità della rete quanto dalla crescente indiscernibilità tra le figure dello storico e del divulgatore. E infatti, come a rimarcare certe differenze di stile e di professione, al Ministero della Difesa, agli storici e ai ricercatori autentici si è rivolto Emanuele Salce, ricevendo soddisfazione piena dagli acclarati riscontri: Luciano Salce non fu mai repubblichino ma un soldato italiano deportato.
Anche sulla base di una visione equilibrata della Storia - una delle tante eredità paterne – Emanuele Salce si era ormai persuaso della necessità di tutelare e di far rispettare la dolorosissima, silente memoria di Luciano Salce, e quella sua nobile figura, ridotta a pelle e ossa, che ripercorreva a piedi centinaia di chilometri con il sogno di tornare a casa, dopo due anni di sofferenze indicibili, inimmaginabili, indisputabili.
Si mette a disposizione a disposizione oltre al foglio matricolare, un articolo del Corriere della Sera a firma di Antonio Carioti ed anche una relazione redatta dal ricercatore Andrea Maori dal titolo:
«Luciano Salce, se venti mesi di prigionia vi sembrano pochi»
L’internamento in Germania e in Austria e un passato giovanile, durante il fascismo, da sceneggiatore, critico cinematografico, teatrale e letterario.
Le falsità smentite da ricerche bibliografiche e d’archivio.
di Andrea Maori
Indice: Premessa. Perché l’accanimento verso Luciano Salce; Parte I ─ Brevi cenni biografici; I GUF – Gruppi Universitari Fascisti; La prigionia come Italienische Militärische Internierte, (IMI) dal 9 settembre 1943 al 29 aprile 1945; Il rientro in Italia; Parte II ─ La «bufala» della presenza nel campo di concentramento di Coltano per appartenenza alla RSI; Il Convegno GUF del 1941 e la monografia di Salce citata da Tripodi nel suo «Intellettuali sotto due bandiere»; Le curvature di Nino Tripodi; Lo scritto di Salce in «La Raccolta» dell’ottobre 1941 e presentazione degli articoli per «Roma Fascista»; Parte III ─ (Articoli di Luciano Salce): «Cinema» da Raccolta (ottobre 1941); «Franchi» da Roma Fascista del 5 novembre 1942; «Qualità sceniche del teatro di Achille Campanile» da Roma Fascistadel 19 novembre 1942; «Rapporti tra il moto scenico e lo spettatore» da Roma Fascista del 7 gennaio 1943; «La Grazia ossia Bontempelli» da Roma Fascista del 21 gennaio 1943; «Pratolini-De Agazio» da Roma Fascista del 27 maggio 1943.
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