Teatro Ghione a Roma dal 15 al 27 ottobre 2013
Mind Production e Simone Giacomini
Presentano
LADRO DI RAZZA
di Gianni Clementi
con
regia MARCO MATTOLINI
Ladro di razza
Roma
1943. Un modesto ladro e truffatore, Tito, abituato a inventarsi la
vita, esce dal carcere, dopo aver scontato l'ennesima pena. Non può
tornare a casa dei suoi, perchè sulle sue tracce c'è un usuraio, noto
per la sua crudeltà. Decide quindi di rifugiarsi nella catapecchia di
Oreste, suo amico d'infanzia, che lavora come operaio nelle fornaci di
Valle Aurelia. Tito deve assolutamente trovare al più presto dei soldi,
per placare l'ira del "cravattaro". Conosce casualmente una ricca
zitella ebrea, Rachele, che vive da sola in un appartamento lussuoso del
ghetto. Sarà lei la sua vittima. Tito la corteggia e, dopo
un'estenuante resistenza della donna, riesce finalmente ad entrare nelle
sue grazie. Ormai è di casa e pronto per il furto, in cui coinvolge
anche l'amico fornaciaro. E’ l'alba del 16 ottobre 1943, il momento del
rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma da parte dei nazisti. In
questa storia, mai il detto "Al posto sbagliato nel momento sbagliato"
fu più puntuale. Ma il piccolo uomo Tito, opportunista e vigliacco,
catapultato di colpo in un episodio storico dirompente, scoprirà in sè
un inaspettato coraggio che gli consentirà un grande riscatto.
Ladro di razza, è uno spettacolo che pur essendo ambientato nel 1943, pone la luce dei comportamenti tipici di umani, come lo scollamento di alcuni di noi con la realtà contigente, Tito (Massimo Dapporto), modesto ladruncolo, non si rende conto di cosa gli sta succedendo intorno, lui pensa a fare "il biscotto" a chiunque gli capiti a tiro, vorrebbe provare a farlo persino ai tedeschi. Non si è quasi reso conto che si è in guerra, lui continua la sua strada personale, fino ad imbattersi in Rachele (Susanna Marcomeni), che sembra essere la svolta della sua vita..la gallina dalle uova d'oro, quella da spennare completamente, ma piano piano con savoir faire. La storia però, quella con la S maiuscola è dietro l'angolo e travolge tutti, finanche quelli che l'avevano snobbata seppur per noncuranza. Tito piano piano riuscirà a entrare nelle grazie di Rachele, ma intorno alla metà dell'ottobre 1943 alla vigilia del rastrellamento da parte della gestapo, a quel punto Tito avrà la sua rivalsa da pupazzo diventerà uomo.Lo spettacolo è molto bello, ben scritto in una lingua propriamente romana e ben recitato da tutti e tre gli interpreti. Massimo Dapporto è bravissimo si cala nei panni di questo ometto costretto suo malgrado dalla Storia a riscattare la sua esistenza fatta di piccole meschinerie, e lo fa usando delle espressioni, dei toni di voce assolutamente credibili...cosa dire oltre che bravissimo.
Miriam Comito
Note di regia
“E’
importante mettere in scena questo testo con un allestimento e un cast
totalmente nuovi a tre anni di distanza dalla sua breve uscita sulla
scena romana, perché riferendosi ad un momento ormai lontano ci fa
riflettere sul presente più attuale, sull’estraneità delle persone
rispetto ai grandi fatti della storia e della politica, sulla profonda
incidenza dell’incertezza economica e sociale sulle scelte morali delle
persone, sull’eterno confronto fra l’adeguarsi allo status quo, alla
situazione dominante per quanto sinistra e inaccettabile si percepisca e
la tentazione/coraggio di ribellarsi. Un certo clima del testo che si
immerge nell’immaginario del neorealismo cinematografico italiano del
dopoguerra fa da prisma per sottolineare il valore emblematico della
vicenda e la sua attualità. Scene e costumi citeranno quindi quel mondo
evidenziandone affettuosamente l’appartenenza ad un immaginario
collettivo che è divenuto proprio di tante generazioni successive, fino
alle più recenti. La musica costruita alla “manière de” i grandi temi
di commento del cinema di quegli anni e della cultura popolare delle
canzonette dell’epoca, sottolineerà l’impostazione antinaturalista nel
senso più profondo e non elitario del termine. Il cast che mette
insieme per la prima volta attori di provenienza diversa, ma tutti
romani non solo in termini anagrafici, li fa cimentare con la bella
lingua popolare romana (e non romanesca, per carità!) reinventata da
Clementi, con la capacità, la leggerezza, la profondità che gli ha fatto
conquistare in pochi anni palcoscenici e pubblici molto lontani da
quelli della capitale, in Italia e all’estero”.
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