mercoledì 15 novembre 2023

TEATRO TOR BELLA MONACA_ Gli spettacoli in scena dal 21 al 26 novembre

 


Tor Bella Monaca

Stagione teatrale 2023|2024 Il Teatro Tor Bella Monaca è parte del sistema Teatri in Comune di Roma Capitale 

Assessorato alla Cultura con il coordinamento gestionale di Zètema Progetto Cultura

Gli spettacoli dal 21 al 26 novembre 2023

La nuova settimana al TBM si presenta ricca di spettacoli dai registri classici e al contempo 

divertenti. Non solo: si riflette sulla dimensione della donna. Proprio il 25 di questo mese, 

infatti, si celebra la Giornata Internazionale della violenza sulle donne” e il monologo di 

Dostoevskij viene rappresentato ad hoc. Dal 21 al 26 novembre andare a teatro sarà un 

piacevole intrattenimento e una circostanza per pensare

Mercoledì 22 e giovedì 23 novembre “La monaca di Monza - alias Suor Virginia Maria 

| alias Marianna De Leyva”, produzioni PACTA.dei Teatri, è in programma al TBM. Tratto 

da Manzoni, Diderot, Stendhal e Gli atti del processo lo spettacolo vanta la drammaturgia 

di Annig Raimondi e sarà interpretato da Alessandro Pazzi, Annig Raimondi ed Eliel 

Ferreira de Sousa. L’interno di un convento è la scena della storia. Una grata immensa, un 

divisorio, un ostacolo per una storia d’amore. Qui è la Monaca di Monza, personaggio 

complesso e misterioso, che riassume e rievoca molte caratteristiche dei diversi personaggi 

delle monache di clausura fra il ‘600 e l’800, dalla cronaca scandalosa alla letteratura e 

viceversa, da Enrichetta Caracciolo a la Religieuse di Diderot, alle monache napoletane portate 

in luce da Stendhal. Marianna De Leyva, nata a Milano nel 1575 da famiglia nobile, divenuta 

poi Suor Virginia Maria e coinvolta in uno scandalo che sconvolse la città di Monza, è stata resa 

immortale dal Manzoni che, unendo verità storica e finzione letteraria, nei Promessi Sposi la 

chiamò Gertrude, la Monaca di Monza o la Signora, inquietante “tessitrice di trame”. Sulla vita 

della figura storica di Suor Virginia Maria esistono molti documenti. Attingendo agli atti del 

processo che la riguardò, la messa in scena vuole evidenziare come la sua storia non si 

concluse con la sua scomparsa. Era ancora viva e il cardinale Federico Borromeo, che l’aveva 

inizialmente punita murandola a vita in una minuscola cella, già abbozzava su di lei i titoli di 

una sua biografia, come esempio di verace penitente. Certo, non si riuscirà mai a conoscere la 

verità. Proviamo però a sollevare una domanda, a riportarla in vita attraverso la relazione dei 

fatti, e l’indagine che ci permettono Storia e Letteratura. Passioni e delitti. Stregoneria e 

travestimenti. Relazioni processuali, narrazione dei “successi” di famiglie illustri o delle 

“disgrazie” dei poveri diavoli. Alla turbolenza del conflitto interiore e alla dinamicità delle 

vicende, si contrappone, quasi come un secondo processo, la staticità inquisitoria ma anche 

trasgressiva di uno sguardo maschile che interviene e che penetra nella più esclusiva società di 

donne, in questo “luogo di donne”, o loro prigione. La scena diviene così la cornice di un 

sublime femminile con tragiche eroine, ma anche cornice delle atrocità commesse dalla 

giustizia e dai suoi giudici a carico di persone accusate, torturate, riconosciute colpevoli senza 

prove definitive. La Monaca, che dopo la carcerazione riuscì a vivere ancora a lungo, diventa 

emblema di un’opposizione ai compromessi e alla violenza della società, uno spirito moderno in 

cerca d’identità e libertà, portavoce di una contestazione verso i poteri civili e politici. Scene:

Isolde Michelazzi; Musiche originali: Maurizio Pisati; Costumi: Nir Lagziel; Disegno luci: 

Manfredi Michelazzi; Assistenti alla regia: Marianna Cossu, Stefano Tirantello e Bianca 

Tortato. Segue “Plaza suite”, produzione La Contrada – Skyline srl, in scena martedì 21

novembre. Il testo di Neil Simon è tradotto da Roberta Conti ed è diretto da Ennio

Coltorti, il quale dirige Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio. “Ah, se queste pareti

potessero parlare…!” quante volte l’abbiamo sentito dire o l’abbiamo pensato noi stessi. Beh,

Neil Simon l’ha fatto: ha fatto parlare una stanza; una suite dell’Hotel Plaza. Ma qui nel titolo

ad essere “protagonista” è una suite (simbolo di successo e appagamento sociale). E le suite,

si sa, ne hanno viste di tutti i colori, ma non ne possono parlare; a meno che non si stia in

teatro; dove per loro possano parlare le persone che le hanno abitate. Ma soprattutto che

queste persone siano interpretate da attori dal nome sinonimo di bravura e garanzia; come,

del resto, quello dell’autore (é Simon è l’autore moderno più rappresentato nel mondo).

Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio interpretano tre coppie (diverse), in tre situazioni

(diverse), in una suite (la stessa) di un hotel considerato come l’Olimpo: la dimora degli Dei.

Lusso, agi, benessere che tuttavia non impediscono imbarazzi, problemi, inciampi. Qui tre

coppie diverse, tre problemi di coppia diversi con un unico filo conduttore: una stanza

dell’Hotel Plaza di New York. Il primo episodio rappresenta la crisi della coppia che sfocia nel

tradimento e nella separazione. I due coniugi si ritrovano nella stessa Suite della loro luna di

miele e tentano di rianimare il matrimonio ormai definitivamente spento. Nel secondo episodio

la coppia protagonista è clandestina, due vecchi compagni di classe: lui famoso produttore, lei

felice “mogliettina-modello” e la stanza è sempre il luogo del loro ritrovo dopo anni. Il terzo

episodio è il più esilarante. Una coppia, logorata dal tempo, che tenta di convincere la figlia a

sposarsi. Ma il giorno fissato per celebrare le nozze, la promessa sposa si chiude in bagno e

non vuole uscire. In una commedia rappresentare l’inciampare di una qualunque persona può

già far sorridere ma se questi inconvenienti li vive chi non avremmo mai pensato ne fosse

vittima la situazione diventa esilarante. Dietro il puro e alto divertimento assicurato dalle

commedie di Simon c’è sempre la dura verità della vita. Una durezza che la saggezza popolare

combatteva con il saggio detto: “Canta che ti passa”. Simon sembra dirci invece: “Ridi, ridi,

ridi… che ti passa!”. Scena: Andrea Bianchi. “Cosa ti cucino amore?” ci porta verso il fine settimana. Venerdì 24, sabato 25

novembre e domenica 26 novembre la commedia, produzione Seven Cults e Laboratori

Permanenti, è scritta da Linda Brunetta che dirige Caterina Casini, Maria Cristina

Fioretti e Carlina Torta. Il solito scherzo del destino riunisce a casa di Silvia, la sera del suo

compleanno, la svagata vicina Eleonora e Doga, una interprete turca di passaggio, unica ospite

del suo improvvisato Bed & Breakfast. Il marito di Silvia, Tito, è il grande assente, di cui si

parla continuamente. Solo alla fine le due invitate, che hanno fatto di tutto per divertire la

“povera” Silvia, capiranno dov’è sparito Tito e nello stesso istante perché sono state coinvolte

nei preparativi di una festa senza invitati. Una sarabanda di equivoci, fraintendimenti, colpi di

scena. Uno humour sarcastico e surreale, che gioca con il linguaggio, i luoghi comuni, le

convenzioni, le apparenze, svelando la doppia e tripla natura dei personaggi, allo stesso tempo

profondi e superficiali, crudeli e innocenti, scaltri e ingenui. L’amore, la morte, la pasta per le

tagliatelle, la danza del ventre, tutto ha lo stesso peso, entra a far parte del gioco, nell’unità di

uno spazio scenico, che ha la dimensione molto femminile di una semplicissima cucina, dove

può succedere e accade di tutto. Gli ingredienti della commedia e della vita delle tre donne e si

mescolano, si impastano, si mangiano e si buttano, come quelli per preparare i cibi della festa

sul grande tavolo che domina la scena. Nell’arco di poco più di un’ora, assolutamente in tempo

reale, le tre donne, che fino ad allora nemmeno si conoscevano, si scontrano e si confrontano, si alleano e si detestano, ridono e si commuovono, inventano storie, leggende, bugie e grandi

verità, trasformandosi completamente e alla fine trovando anche un modo per stare insieme

affrontando allegramente una nuova vita. È uno spettacolo comico, nella direzione stilistica

dello humour nero inglese, dove, coniugando understatement e situazioni paradossali, non si

ricorre alle facili battute, ma si coinvolge lo spettatore in modo sottile, spiazzandolo e sorprendendolo, per ritrovare un’ironia al femminile moderna e originale. Scene: Tiziano

Fario. “La mite”, produzione Teatro d’Imbarco, conclude la settimana. Venerdì 24, sabato 25

novembre e domenica 26 novembre. Il monologo di Fëdor Dostoevskij, declamato da

Beatrice Visibelli, vanta l’adattamento e la regia di Nicola Zavagli. Un intenso monologo

sulla violenza domestica che il regista trae dal racconto dello scrittore russo, per

l’interpretazione appassionata di Beatrice Visibelli. Dando voce al carnefice, la sensibilità

dell’attrice si immergerà nei labirinti oscuri della sua mente, con un inedito e sconcertante

rovesciamento di prospettive e di ruoli. Beatrice Visibelli affronta il rapporto uomo/donna nel

suo schema maledetto di vittima e carnefice. E lo fa in un originale ribaltamento di ruoli, non

nella parte della donna/vittima, ma provando a immergersi nei labirinti della mente

dell’uomo/carnefice. E per allontanarsi dalla cronaca (che inesorabile continua a denunciare lo

stillicidio delle vittime) sceglie un monologo scritto dal più profondo indagatore dell’animo

umano: Dostoevskij. Un monologo polifonico dove i pensieri diventano un flusso di parole che

tentano ostinatamente di capire il perché di un rapporto dominato dal silenzio, usato come

arma di potere e di tortura psicologica. E dove infine in un crescendo incalzante emerge il

carattere tutt’altro che “mite” della giovane donna. “A volte sentivo per lei una tormentosa

pietà, sebbene talora mi sorridesse proprio l’idea della sua umiliazione.” Un capolavoro urgente

per capire dal profondo il nostro tempo. Ispirato a un caso di cronaca, questo lungo racconto è

stato pubblicato dall’autore nel 1876, nel numero di novembre del suo Diario di uno scrittore a

cadenza mensile. In Italia è arrivato per la prima volta nel 1919. “Immaginate un uomo la cui

moglie, suicidatasi alcune ore prima gettandosi dalla finestra, sia stesa davanti a lui su un

tavolo. L’uomo è sgomento e ancora non gli è riuscito di raccogliere i propri pensieri. Ecco,

parla da solo, si racconta la vicenda, la chiarisce da se stesso”. Così scrive Dostoevskij nel

presentare l’opera ai lettori. L’uomo, quarantuno anni, ex capitano cacciato dal reggimento con

l’accusa di viltà e ora titolare di un banco dei pegni, non è un inveterato criminale, ma come

l’Uomo del sottosuolo è divorato dalla rabbia e dal rancore. Ha sposato una sedicenne di umili

condizioni e la sua avidità senza scrupoli lo ha portato a considerare la moglie solo una sua

proprietà. Il racconto restituisce con sconcertante realismo il suo soliloquio interiore che alla

fine, tra contraddizioni, accuse rabbiose e false giustificazioni, lo avvicinerà, poco a poco, alla

verità.

Teatro Tor Bella Monaca - Arena Teatro Tor Bella Monaca

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