SalaUmberto
StagioneTeatrale 2013/2014
dal 14 gennaio al 2 febbraio 2014
ErreTiTeatro 30 - Roberto Toni
presenta
Chiara
Francini Emanuele Salce
Anita Bartolucci
TI HO SPOSATO PER ALLEGRIA
di Natalia
Ginzburg
scene
di Paola Comencini
regia Piero Maccarinelli
"Ti ho sposato per allegria", testo della Ginzburg, porta volutamente in scena la non drammaturgia, il testo è sapientemente saltellante, come la protagonista Giuliana del resto, da palo in foglia morta. Una pièce quasi tutta al femminile con una Chiara Francini, perfetta nel ruolo di ragazza svagata, coadiuvata da una splendida Anita Bertolucci, nel ruolo della madre di Pietro, il neo e appena conosciuto sposo.
La scenografia dai colori allegri e frastornanti rende bene, il senso della commedia, niente di serio ta i due, solo allegria una vera e propria scomposizione dei motivi che dovrebbero portare un uomo e una donna a sposarsi, una presa in giro senza tempo delle convenzioni imposte dalla società, il tutto con uno sguardo disincantato, con leggerezza, senza voler necessariamente dimostrare qualcosa, se non che il teatro dell'assurdo e i suoi autori non sono stati gli unici a essere in grado di comporre un'opera teatrale priva di drammaturgia che tra l'altro pare che negli anni abbia riscosso successo, ma del resto la Ginzburg è uno dei capisaldi della letteratua e dell'arte tutta del 900'
Miriam Comito
“Dov’è il mio cappello?”. Ti ho sposato per allegria comincia
così. Comincia, sembra di capire, da un sorriso sfrontato e ironico
dinnanzi all’impossibile.
C’è un’impossibile famigliola, con tanto di suocera, cognatina, e governante, tutti insieme a fare il teatrino delle proprie parti, dentro a un gioco di parodia che (segretamente) gioca con l’impossibile vocazione drammaturgia dell’autrice. Questo star sul filo (di seta, elegante e fragile) doveva essere il brivido preferito della Ginzburg che sfida tutte le regole della buona scrittura drammatica inventandosi un teatro delle assurdità che tuttavia non rassomiglia – né tecnicamente, né ideologicamente – al greve teatro dell’assurdo, di marca comunque e sempre maschile ed esistenzialista. Approda a una forma apparentemente impropria (i monologhi fiume, divertentissimi, e all’apparenza teatralmente impossibili) provocatoriamente, o meglio, sfrontatamente fragile e tuttavia, là dove pare disfarsi in frivolezza, farsi irresistibile.
C’è un’impossibile famigliola, con tanto di suocera, cognatina, e governante, tutti insieme a fare il teatrino delle proprie parti, dentro a un gioco di parodia che (segretamente) gioca con l’impossibile vocazione drammaturgia dell’autrice. Questo star sul filo (di seta, elegante e fragile) doveva essere il brivido preferito della Ginzburg che sfida tutte le regole della buona scrittura drammatica inventandosi un teatro delle assurdità che tuttavia non rassomiglia – né tecnicamente, né ideologicamente – al greve teatro dell’assurdo, di marca comunque e sempre maschile ed esistenzialista. Approda a una forma apparentemente impropria (i monologhi fiume, divertentissimi, e all’apparenza teatralmente impossibili) provocatoriamente, o meglio, sfrontatamente fragile e tuttavia, là dove pare disfarsi in frivolezza, farsi irresistibile.
Al centro di Ti ho sposato
per allegria c’è appunto una ragazzina in pericolo che si è fatto donna e
ha deciso, come conviensi ad una donna, che era tempo di sposarsi. L’uomo
che la sposerà avrà fatto un pensiero simile, forse, ma da un’altra
prospettiva: la prospettiva adulta. Gli uomini nel teatro della Ginzburg
mi pare siano tutti molto adulti. Ciò non impedisce loro di essere
insensati, anzi, ma lo sono dalla prospettiva comicamente più greve
di chi ragiona – o ci prova – sul senso della propria vita ricercando
somiglianze: coi propri simili adulti normali.
Le ragazze della Ginzburg, invece, soffrono e splendono d’una vocazione per l’originalità, propria e altrui. La ragazza e l’uomo si vedono e poco dopo si sposano. Un matrimonio fatto per allegria. Ma poi il matrimonio si fa famiglia e con essa arrivano le regole, una delle quali è che bisogna essere uguali a tutte le altre famiglie. Nasce il gioco (divertentissimo e insieme triste) della “casa”.
E con esso, per uguale allegria,
la Ginzburg fa nascere il gioco del suo teatro.
NOTE DI REGIA:
Natalia Ginzburg è una delle più raffinate e a
acute scrittrici italiane degli ultimi anni. La sua lingua, secca, essenziale,
talora tagliente, con il suo gusto e gioco della ripetizione, risulta
una delle più interessanti nel panorama della scrittura teatrale. Inoltre
il suo tema d’elezione “la famiglia” affrontata nei suoi romanzi
e nel suo teatro, è un tema che per anni ho seguito come direttore
artistico di Artisti Riuniti e come regista. Mi ha sempre interessato
ogni declinazione del tema familiare. Inevitabile quindi l’incontro
con questo testo propostomi da Roberto Toni. Giuliana e Pietro sono
una famiglia, giovane e strana, attorno a cui ruotano le figure familiari
della madre di Giuliana, solo evocata, e della madre e della sorella
di Pietro. Il padre, il maschio, è assente. Un solo uomo, Pietro, e
quattro donne, il maschio è già stato disarcionato dalla Ginzburg
dal suo piedistallo nella prima metà degli anni Sessanta. E’ il femminile
che interessa l’autrice, la figura della madre “che si dà pena”
e quella della probabile futura madre, Giuliana “un giorno sarà madre
anche lei?” chiede la madre a Giuliana. L’autrice vuole parlarci
di Giuliana, della donna, delle sue amiche Topazia ed Elena, l’ottimista
e la pessimista, della leggerezza del femminile, della sua vitale importanza.
Il maschio vive di luce riflessa, Pietro è in questo quadro perché
ha sposato Giuliana “per allegria”. Insomma si declinano i diversi
modelli femminili, le molteplici possibilità di essere donna. Giuliana
passa in punta di piedi nella vita, sfiorandola con grazia: ma non è
una farfalla, non ha il pungiglione, quindi non è nemmeno una vespa.
E’ graziosa e porta allegria, il suo pensiero è liquido, il suo apparente
saltare “di palo in foglia” o “di palo in frasca” trova degli
argini di improvvise profondità. Sorprende per la sua grazia e la sua
allegria, ma anche per il suo modo di affrontare la vita e i suoi valori.
Vive nel presente, il suo futuro e il suo passato sono per lei meno
interessanti e lo diventano inevitabilmente anche per noi, disponibili
a farci trascinare dal suo transitare fra emozioni e vita. Testo atemporale
per eccellenza, non ha bisogno di essere trasportato all’oggi. Perché
è già oggi. Anche se scritto negli anni Sessanta, forse gli ultimi
anni in cui una generazione di scrittori e intellettuali ha saputo proiettare
ombre di preveggenza su questi nostri anni più poveri e grigi. Il testo
ha bisogno di interpreti “leggeri”, ma capaci di improvvise profondità,
e mi sembra che li abbiamo trovati.
Piero Maccarinelli
SALA
UMBERTO
Via della Mercede, 50
(06.06.6794753
Prezzi: da €
32,00 a € 16,00
Orari: dal martedì al
sabato ore 21, secondo mercoledì ore 21,
domenica ore 17,00 sabato
ore 17 e 21
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